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Perchè allenate qui. E’ un a domanda che mi sono sentito

MA VOI PERCHE’ ALLENATE QUI

(da Verdenero 2008)

Per stare insieme

Perchè lo fai? E’ un a domanda che mi sono sentito rivolgere spesso in questi anni. Una doman­da che non significa tanto “perché alleni?” (questo tutti credono di poterlo capire, anche se poi non è così), quanto “perché alleni al Schuster, dato che non sei quasi per niente retribuito, in palestra fa fred­do, le ragazze sono tante, non c’è selezione all’atto dell’iscrizione, è un impegno che richiede un’enor­me quantità di energia, tempo, di­sponibilità, pazienza, costanza e tu potresti invece dedicarti ad altro?”. “Perché lo fai?”, qualche volta me lo sono chiesta anch’io.

Ma se dopo tutto questo tempo (sono ormai quasi 7 anni che al­leno e 12 che frequento il Centro) sono ancora qui, con la stessa vo­glia, anzi con ancor più convinta determinazione, è perché, in fondo, ho trovato delle risposte e continuo a trovarne.

Perché allenare. La prima motiva­zione, la più semplice forse, è sicu­ramente la passione. Passione non solo per quello splendido sport che è la pallavolo, ma anche, anzi direi prima di ogni cosa, per le persone che ho incontrato.

E’ il desiderio di trasmettere e condividere l’en­tusiasmo per quello in cui credi il vero motore che ti fa ricominciare tutte le volte con la stessa voglia, dopo vittorie e sconfitte, a montare la rete, preparare campo e palloni, studiare gli esercizi per gli allenamenti.

Sono gli occhi delle tue ragazze che ti rammentano ogni istante il tuo perché, e te ne trovano altri mille. Occhi di tutti i colori, pieni di attese, sfide, paura, pretese, curiosità, allegria, lacrime, voglia di fare, raccontare e conoscere. Occhi di persone che vedi crescere gior­no per giorno e a cui a volte riesci a dare qualcosa in mezzo a tutto quello che loro, senza nemmeno accorgersene, sanno donare a te.

Allenare per questo motivo: per le persone. E perché è un modo di stare insieme diverso e migliore di tantissimi altri, in quanto permet­te, anzi obbliga a confrontarsi e imparare valori come l’impegno, la lealtà, il rispetto di sé e degli altri, perché costringe a guardare in faccia i propri limiti, le proprie incertezze e le proprie paure, e di vincerle, insieme. In questo modo l’allenamento e il gioco sanno di­ventare palestra per mettersi alla prova come persone. Persone, non solo atleti. Ecco perché allenare allo Schuster.

(Francesca Ieva)

Per vivere lo sport in maniera dIversa

“Noi siamo una famiglia di cesti­sti”. Questa è stata la risposta di mia moglie alla signorina di SKY che le chiedeva come mai non eravamo interessati al pacchetto calcio della tv satellitare.

E questo spiega la mia carriera di cestista che coincide con gli anni di permanenza al Centro Schuster, prima come giocatore (partendo dal mini-basket) e poi da allenatore.

Così quando mio figlio Matteo ha raggiunto l’età giusta per fare sport, mi è sembrato normale approdare ancora qui, dopo circa 20 anni di lontananza, e ancor più normale proporgli la pallacanestro.

La prima cosa che mi ha sorpreso è stato tro­vare la palestra più calda di quando l’avevo lasciata! Per il resto tutto è esattamente come allora: lo stesso ambiente, le stesse persone, lo stesso modo di fare sport e di stare con i ragazzi.

Il mio graduale, sempre maggiore impegno nella scuola pallacanestro è stata la logica conseguenza della mia esperienza passata.

Adesso alleno gli “Aquilotti” (bam­bini nati nel 1997/1998) e coor­dino 3 aiuti, che fanno parte della squadra Under 19 e seguono con ottimi risultati gli “Scoiattoli” (anni 1999/2000).

Tra partite, mie e di mio figlio e allenamenti l’impegno non è indifferente ma le soddisfa­zioni sono tante, sia quelle vissute da genitore che come allenatore.

Ma la soddisfazione più grande è sapere che il the caldo per i no­stri ragazzi e per gli avversari tra il primo e il secondo tempo di una partita non è un’invenzione del cronista di Sky, ma la concretizza­zione di un modo diverso di inten­dere lo sport e una tradizione che al Centro Schuster dura da almeno 30 anni.

(Giovanni Albini)

Per aiutare I ragazzi a crescere

La ginnastica artistica è la sezione più giovane del Centro Schuster e anno dopo anno cresce, grazie an­che al piacere che proviamo a lavo­rare al Centro e con le persone che lo frequentano.

Oltre alla nostra passione per la ginnastica artistica, la ciliegina sulla torta è il contesto in cui operia­mo: qui sport, educazione, umani­tà, amicizia e divertimento sono il pane quotidiano e danno vita a una dimensione sociale sulla quale sai di poter sempre contare; ogni allena­tore sa che in qualsiasi giorno o ora passi dal Centro potrà sempre tro­vare qualcuno con cui scambiare opinioni, confidenze e battute.

Noi crediamo che ciò che rende unico il Centro Schuster è la possi­bilità di crescere i ragazzi non solo in un’ottica sportiva, ma anche da un punto di vista spirituale, con la possibilità di trasmettere ai ragazzi i valori in cui noi crediamo, senza però perdere di vista lo sport, la vo­glia di farlo nella maniera migliore, di vincere, di competere e dimo­strare sempre di esserci.

Al Centro Schuster l’attenzione non è rivolta ai numeri, ma al be­nessere dei ragazzi e gli allenatori sono nelle condizioni ottimali per insegnare senza pressioni o timori, crescendo delle atlete appassiona­te e serene.

Per poter lavorare nel modo migliore bisogna trovarsi nelle condizioni migliori e anche se in un’ottica puramente profes­sionale non abbiamo a disposizio­ne grandi palestre o gli attrezzi più nuovi, abbiamo la certezza di esse­re sempre circondate da colleghi, genitori, responsabili e dirigenti pronti a darci una mano per far sì che non ci manchi nulla. Soprat­tutto da un punto di vista umano.

(Carmen Di Palma Francesca Monti)

Per far crescere ragazzi migliori

Ho iniziato a frequentare il Centro Schuster come giocatore quan­do avevo 11 anni.

Prima giocavo all’oratorio sotto casa con amici e compagni di scuola.

Dedicavo al gioco del calcio tutto il tempo libero, al campetto dell’oratorio, festivi inclusi.

Nella primavera di quell’anno riuscimmo ad organiz­zare un torneo con tutti i ragazzi del quartiere.

II Don della nostra parrocchia ci lasciò giocare il saba­to pomeriggio. Il papà di un mio compagno di scuola ci arbitrava le partite e noi ci occupavamo di tutto il resto.

Segnare il campo, portare il pallone, assicurarsi che le maglie dei compagni fossero più o meno dello stesso colore, il calendario delle par­tite, decidere la formazione, ecc..

In quel mese di maggio la settimana era vissuta in attesa della partita del sabato.

Un giorno si presentò al campetto il Don.

L’evento suscitò scalpore e preoccupazione tra noi ragazzi.

Non si era mai spinto così vicino.

Ricordo solo alcuni spora­dici episodi che lo costringevano ad entrare nel nostro territorio per trascinarci il giovedì al catechismo.

Quel giorno ci diede una grande notizia. Aveva iscritto una squadra in rappresentanza dell’oratorio al torneo della zona contro altri ora­tori e alcune società.

Iniziò così la selezione per partecipare al torneo.

Il Don ci affiancò una persona di sua fiducia per organizzarci e alle­nare la squadra.

Fu la prima volta che noi ragazzi ci confrontammo con un adulto sul “nostro” gioco del calcio.

La prima partita la gio­cammo nell’oratorio vicino, poi ne seguirono molte altre: ci divertiva­mo tra di noi e le rivalità tra ragazzi del quartiere di parrocchie diverse davano quel pepe in più alla com­petizione.

L’ultima giornata del torneo si disputò su campo neu­tro con tutti gli oratori e le società partecipanti alla fase finale.

Quel pomeriggio eravamo tutti emo­zionati: avremmo giocato la prima partita a 11 contro il Centro Schuster.

Il Centro Schuster, noi ragazzi dell’oratorio lo conoscevamo solo di nome.

Sapevamo che giocavano tutto l’anno, si allenavano con un Mister e ogni tanto qualche ragaz­zo dell’oratorio per farsi grande ci raccontava che aveva giocato con loro.

Il padre del mio amico ci dice­va che squadre di serie A andavano ad allenarsi sui loro campi.

Mi ricordo poco della partita, for­se perchè quel giorno accadde una cosa che cambiò parte della mia vita: alla fine della seconda partita si avvicinò l’allenatore del Centro Schuster.

Con tono di voce ferma ed allo stesso tempo amichevole mi chiese di partecipare ad un provino per la sua società sportiva.

Da quel giorno ho iniziato a frequentare il Centro Schuster.

Tutte le regole non scritte tra noi ragazzi iniziaro­no a cambiare e a farsi più chiare, iniziavo a conoscere un ambiente diverso dove la mia personalità e la mia voglia di giocare trovavano sbocco.

Le amicizie fatte al Cen­tro Schuster, anche nei momenti extra-sportivi, mi facevano par­tecipare con entusiasmo alla vita del Centro.

Il mio tempo libero si spostava a favore del Centro, le ore che prima passavo al campetto ora iniziavo a trascorrerle al Centro Schuster.

Queste ore mi aiutarono a crescere, poi mi aiutarono ad aiu­tare gli altri a crescere.

Ho iniziato a giocare con la prima squadra a 11 anni.

All’età di 15 anni ho fatto la mia prima esperienza da aiuto-al­lenatore e ho continuato negli anni a conciliare studio, tempo libero, lavoro da allenatore e da giocatore.

Dopo la maturità mi sono iscrit­to all’ISEF.

In tutti questi anni ho maturato il desiderio, grazie a tut­te le persone che ho conosciuto al Centro Schuster, di intraprendere la carriera in ambito sportivo con valori umani importanti.

Molti sono gli aspetti positivi e le motivazioni che mi hanno spin­to da quel lontano pomeriggio di maggio e mi spingono tutt’ora a continuare questa esperienza al Centro Schuster.

Non riuscirei ad elencarli tutti, ne voglio citare uno in particolare.

In ogni ambiente di lavoro, in ogni famiglia, in ogni comunità la diffe­renza la fanno le persone con cui ti confronti tutti i giorni.

Possiamo disporre di attrezzature, di spazi, di soldi, e di tanti altri mezzi, ma se mancano le risorse umane diventa difficile portare avanti una semplice idea.

L’idea comune che condivi­diamo da parecchi anni ci è data dalle parole di Padre Morell: “vale la pena dedicare la propria vita per i ragazzi”.

Questa semplice idea la facciamo nostra ogni giorno confrontando­ci con gli allievi che alleniamo.

Ci mettiamo in gioco ogni volta con bambini, ragazzi e adulti diversi che vedono in noi una figura di riferi­mento.

Il piacere di stare con i ra­gazzi per insegnare a loro qualche cosa si trasmette ai ragazzi e nei loro occhi traspare la stima che hanno nei nostri confronti. Si crea un rap­porto diverso con i ragazzi e i loro genitori.

Non siamo solo allena­tori di qualche sport.

Molte delle persone che frequentano il Centro Schuster si sentono appartenenti ad una comunità per far crescere i ra­gazzi.

Condividere questo pensiero è già un bel passo avanti. Riuscire a influire positivamen­te sulla loro crescita è un grande obiettivo, una grande idea. che ci dà valore come persone e mi spin­ge a continuare.

(Matteo Curioni)